OPERA 58
ARATURA
(80x60) 1982
Descrizione
È uno degli idilli georgici più aggraziati e compositi, ricco di
notazioni e di particolari esilaranti. Meraviglia, come
sempre, la facilità e la felicità di novellatrice della
nostra Annunziata, in questi anni davvero ispirata. C'è
tutto, eppure nulla è aggrovigliato o distorto: gli uomini
còlti in atteggiamenti usuali, il gran mulo con le corbe
piene, il concerto degli alberi, il pagliaio stremato, e
quella pariglia di bovi bianchi imperiosa nel mezzo, così
naturale, così magistrale, rendono ancor più vivo il respiro
della terra fenduta dal vomere, più eloquente la tavolozza,
più rare le bande monocrome che scalano a tangere il cielo.
Nomenclatura-folk
Con la prima guerra mondiale l'aratro di ferro raggiunge le giogaie
dell'Appennino abruzzese, ed in breve ne soppianta la
tradizionale «perticara» di legno, rimasta solo per lavori
secondari. Un contadino taglia sul mucchio una porzione di
fieno (la pataracchie; Cf. Opera 14).
Sul maggese
(la majase) domina un tronco reciso, sul quale posa
l'immancabile fiasco di vino; all'intorno due contadini col
bidente rompono il terreno non toccato dall'aratro attorno
le piante (lu scannille) e vanno rompendo le zolle
(acciucchì li talluppe). Un mulo trasporta letame sulle
ceste, mentre le pecore sono raccolte insieme per consumare
sul campo l'erba residua prima che vi passi l'aratro.
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