| OPERA 56LA MIETITURA
 (100x70) 1982
 Descrizione Il 1982 
					può essere definito senza alcun dubbio l'anno del lirismo 
					euforico di Annunziata Scipione, le tele che qui lo 
					rappresentano - tra grandi e piccole - sono per noi da 
					ascrivere al dettato più alto della pittrice, ad un suo 
					momento panico, sovraccarico di ispirazione e di colore, che 
					non è affatto facile descrivere, l'emozione dovrebbe restare 
					muta ed assaporare tutta la gamma di questo canto 
					irripetibile. Sulla tela i rossi ed i bianchi dei vestiti si 
					alternano con risultato ineffabile, e su di essi, e sul 
					campo non ancora mietuto, e sulle mannelle e sulle biche, e 
					sui vermigli papaveri recisi, rameggiano i ciliegi, mentre 
					lei, la bimba Nunziatina rossovestita (la stessa della neve, 
					la stessa dei ghiaccioli, la stessa di sempre), lei fa la 
					spigolatrice, e le ville campeggiano in uno svelto paesaggio 
					compiuto, con un cielo surreale che sublima il sudore 
					dell'uomo.  Nomenclatura-folk 
					Da quando circa diecimila anni fa nel vicino Oriente 
					cominciò l'agricoltura, e con esso la prima falce costruita 
					con piccole selci fissate in un legno ricurvo, fino alla 
					moderna mieti-trebbia, nel salto gigantesco della tecnica il 
					linguaggio relativo è rimasto pressoché immutato, almeno da 
					quando l'uomo imparò ad affidarlo allo scritto. Dove ancora non è 
					arrivata la macchina, identica si ripete la scena qui 
					immortalata dalla Scipione; identiche le arie e i motteggi 
					campagnoli, come ai tempi del sabini che li diffusero nel 
					resto dell’Italia centrale dopo averli ricevuti con gli 
					emigrati da troia (c.f. Georgiche, I , II, 532 ss); 
					canti e arie non molto dissimili dai superstiti: A mmete, 
					a mmete, che lu grann e fattu e lu surrichiu meu lo mete 
					tuttu! Se lu padrone non me da lu caciu, lu mannellu meu jje 
					lo lego bbusu!   |