OPERA 36
UCCISIONE DEL MAIALE
(80x60) 1977
Descrizione
Sull'aia, che è una summa di vita contadina, si ripete l'antichissimo
rito ancestrale cui partecipa a turno tutto il vicinato. Non
è un caso che il Boccacci, nella novella di Frate Cipolla,
parli dell'Abruzzo del Trecento come del paese delle
salsicce, un po' al di qua di Bengodi; e in effetti, il
rituale è remoto, risale ai villaggi neolitici, c'è tutta
una strumentazione e un «gioioso orrore» che s'imprime
indelebile nella memoria del fanciullo, il Bertolucci di
Novecento insegni. L'Abruzzo non può essere più - è
ovvio - quello di Ripoli o l'altro di Giovanni Boccacci; e
allora diventa didascalica e sublime quest'opera di
Annunziata, dove certi particolari s'impongono nel fraseggio
fitto di segni, nell'eloquio festoso e movimentato che
incide i colori violenti della fanciullezza lontana.
Nomenclatura-folk
Uccidere o meno il maiale costituiva un fatto sociale rilevante; anche
nel combinare matrimoni ci s'informava se il partner
uccidesse in proprio il maiale, se lo dividesse a metà col
padrone o se non ne avesse affatto.
Con i primi
freddi rigidi, nell'aia si procedeva alla festosa e animata
operazione, guidata da uno di famiglia o da un esperto del
vicinato. La perizia si valutava, oltre che dal colpo sicuro
nello scannare la bestia, specialmente nello spaccarla in
due parti uguali, con la sola differenza della coda che
restava sulla parte del padrone principale. Nel ripiano
poggiato sulla carriola e che fa da tavolino, tra gli altri
attrezzi vi sono alcune «scraje» (spatole di canna appuntita
per raschiare la bestia appena uccisa; cf. Opera 14, 42).
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