OPERA 33
LA TREBBIATURA
(100x80) 1976
Descrizione
L'epopea
del mondo contadino, dicevamo; e altri illustrerà quanto di
quel mondo è qui bravamente rappresentato. La minuzia e
l'attendibilità di certi particolari fanno anche di questa
grande tela (grande rispetto alle altre:
100x80)
una chiave di lettura esemplare del modo d'intendere e di
volere della pittrice. Ma su tutto domina la gran festa di
luce e di colore, il sangue dei ciliegi protesi sui covoni
ammucchiati.
Nomenclatura-folk
L'avvento della trebbiatura meccanica dopo la prima guerra mondiale,
come ora la mietitrebbia dopo la seconda, ha inciso molto
nel modificare le abitudini contadine. Per le donne, ormai
non più necessarie al lavoro, il tutto si riduceva ad
allestire un pranzo succulento per gli uomini della macchina
(la màchene) e i pochi aiutanti; se però la meccanica
risparmiava il fiaccante lavoro della tresca, portava
l'inconveniente di un polverone visibile in lontananza e il
pericolo d'incendi disastrosi.
Un po' per combattere la polvere e un po' per vincere la calura, si
ricorreva a frequenti mescite: nella breve sosta, i giovani
sfottevano le ragazze o le donne che offrivano il
vino, e gli anziani cedevano volentieri alla tentazione di
qualche accenno sul proprio soggiorno in America, divenuto
ormai un sacro ricordo.
Nel muoversi tra aia ed aia, la sirena avvertiva dei turni e degli orari
approssimativi; prima che s'introducessero i trattori, per
il trasporto della trebbiatrice sulle colline circostanti
talora si adoperavano fino a tre paia di buoi «a stròppie»
(collegate con catena fissata al timone).
Quando il
raccolto di grano fosse stato magro, cosa non insolita in
zona montana, invece che a trebbiare si era costretti
a sbattere le
spighe (sfruscì), ricavandone talora solo una mezza
quintalata da portare subito al mulino, e per assicurarsi un
po' di paglia «lunga» per la copertura dei mucchi di fieno.
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